Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/413

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•della bella giornata d’aprile o del cielo stellato o da altrettali volgarissimi luoghi comuni, quale salutare effetto educativo avrebbe lo studio di quegli scarni, e pur tanto coloriti, «articoli» di messer Pietro Aretino! Muore a ventott’anni, nel colmo della gioventú, della forza e della gloria, Giovanni dalle Bande nere, l’ultimo e piú grande dei condottieri italiani, il protettore, l’amico, il fratello dell’Aretino, che resta solo, senza pane, senza tetto, in balia della fortuna e dell’odio dei suoi tanti nemici. Qual vasto campo a effusioni liriche e rettoriche! quante colonne di giornale da riempire ! Ebbene, leggete quel capolavoro che è la lettera a Francesco degli Albizi(’). Cinque pagine, niente piú; e in queste, tranne un breve giudizio complessivo sull’uomo (anch’esso in gran parte narrativo), niente che esorbiti dalla narrazione, nuda, scheletrica, dall’apparenza a dirittura cronachistica. Non una digressione; amala pena qua e lá dieci o dodici parole di comento (p. e., a proposito dei discorsi guerreschi di Giovanni: «cose, che sarebbono state stupende, sendo egli tutto vivo, nonché mezzo morto» ); e sopra tutto non una frase, che accenni allo stato d’animo di colui che scriveva. Eppure codesto stato d’animo è oggettivato con arte cosi perfetta nella medesima narrazione; il dolore vivo, profondo, sincero, che straziava l’Aretino, erompe con tanta forza da ciascuno dei particolari del quadro, che la fantasia del lettore è condotta insensibilmente a integrarlo, immaginando accoccolato accanto a quel letto di campo, nel quale lo spirito del condottiero, «mentre dormiva, era stato occupato da la morte», Pietro Aretino, col petto rotto dai singhiozzi, e che pur si domina, per non turbare, con un momento di abbandono, la severa compostezza della tragica scena. Codesto significa essere scrittore; codesto vuol dire essere «scultore di sensi» e non «miniatore di vocaboli» (*). Nessuna maraviglia, dunque, se, quando il «divino» si risolveva a metter fuori su foglietti volanti qualcuno di quei suoi «articoli», e principi e privati facessero a gara per procurarseli (3); o che a essi si attribuisse dai contemporanei cotanta efficacia anche pratica, da far sorgere la leggenda che Clemente settimo, chiuso in Castel Sant’An- (1) Si veda sopra p. 5. (2) Si veda sopra p. 1S8. (3) Lezio, P. A. a Ven., p. 7 e p. 54, ti. 2.