Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/429

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la famosa lettera contro i pedanti (clvii); di lui si tornano a pubblicare i quattro sonetti, che l’A., per far réclame al discepolo, inviava al Varchi (lett. cclxxxiii); di lui viene data la lettera, con la quale invitava il maestro a inserire nel volume le varie dedicatorie fin allora pubblicate (cccxv); di lui rimangono qua e lá le cosi onorevoli e affettuose menzioni ; che piú ? non va via nemmeno la lettera a Vincenzo Franco (cclxxxiv), nella quale lo si proclama, a dir poco, il piú grande sapiente del secolo. — Ma a che prò esemplificare? La AI 2 -, torno a ripetere, tranne che per una minore scorrettezza, le pochissime varianti additate e la giunta finale, non è se non una materiale ristampa della A/ 1 -, tale, insomma, che, anziché celare l’irritazione furibonda dell’A. contro il suo ingrato scolaro, non mostra altro che il desiderio, affatto pacifico, del buon Marcolini di far danari, ristampando, non ostante la spietata concorrenza, un libro esaurito, che aveva avuta tanta fortuna. Ma — si domanderá — come mai è potuto sorgere sul nulla un cosi complicato macchinario di congetture? È presto detto. Per una distrazione di Apostolo Zeno. Egli, che conobbe certamente la A/ 1 , la Af* e la Vi/ 3 , aveva avuto occasione di notare rottura aperta tra i due libellisti non sia avvenuta se non verso í principi del 1539. Conseguentemente, è assai lontano dal vero il Bkrtani (p. 160, n. 131), quando, con argomenti abbastanza deboli, vuol sostenere, contro il Luzio, che nel giugno 1538 il Fr. aveva giá varcato, per non piú rivederlo, l’uscio della pittoresca casa abitata dall’A. La A/ 8 , come si c visto, non si cominciò a stampare se non verso il giugno o luglio 1558: dunque, per poco che la bomba fosse giá scoppiata, l’A. avrebbe avuto tutto il terai>o e l’agio d’introdurre nella nuova edizione quelle mutazioni c soppressioni, che ebbero poi luogo nella AI a . Con che, poi, non voglio dire che il Fr., rancunier, invidioso e maligno per natura, non nutrisse sentimenti assai poco benevoli contro il maestro assai tempo prima che questi si risolvesse a metterlo alla porta. L’A. stesso narra (lett. al Dolce del 7 ott. 1539) delle insolenze e guasconate che un giorno gli vomitò contro il discepolo, quando egli, in camera charitatis, ebbe a criticargli, come poco originali, quei sonetti, dei quali pur tanto bene aveva detto pubblicamente nella lettera al Varchi (cclxxxiii). Se non che, (intanto che insolenze c guasconate non uscivano dalle pareti domestiche, l’A., con la sua bonomia da uomo superiore, credè di poterle prendere a riso, e continuare a dimostrare pubblicamente al Fr., mercé la pubblicazione della AI’ 1 , la benevolenza che forse ancora nutriva per lui. Fu soltanto dopo che il Fr. cominciò a fare troppo sfacciatamente il mascalzone (rivelazioni all’autore della Vita dell A. del pseudo Bemi, sctt, 1538; pubblicazione delle Pistole, nov. 1538; probabile propalazione di segreti di casa Aretino), che il maestro perde la pazienza, e cacciò via la vipera che s’era riscaldata in seno.