Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/89

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LXVIII

AL SIGNOR DON LUIGI DA VI LA

Lo prega di parlar bene di lui a Carlo V. La felicitá mia consiste in due parole che per me spenda la Signoria Vostra illustrissima con Cesare: si che non me ne siate avaro; clic, oltra che giovate a chi saperá riconoscere il bene, troncate la lingua a tutti quegli che vogliono che Sua Maestá non sappia donare, e che ne la corte di quella non siano persone use a favorire né nobiltá né vertú. E perciò siatemi largo d’un buono ufficio, ché certo la strada de la cortesia conduce a la eterna gloria; e, se per cotal via vi ascesero i romani principi, salitevi ancor voi. Ed è certo che l’antica consuetudine in premio dei meriti ricevuti ascrisse nel catalogo degli iddii i datori dei benefici. Ed è tanto grande il grado del beneficio, che si trova chi ha tenuto per fermo che altro non fusse Iddio che l’uomo che aiutava l’uomo. E, se cosi è, la vostra altezza non si abbasserá punto in porgere la mia seconda lettera a colui che è nato per dominare, per vincere e per trionfare.

Di Venezia, il 4 di giugno 1536.

LXIX

A MESSER GIORGIO D

’AREZZO pittore. Dell’apparato trionfale fatto fare da Alessandro dei Medici per la venuta a Firenze di Carlo V. Se, dapoi che Xerse re fu vinto, voi foste stato quando Paolo mandò agli ateniesi per un filosofo che gli amaestrasse i figliuoli e per un pittore che gli ornasse il carro, gli averiano inviato voi e non Metrodoro, perché sete istorico, poeta, filosofo e pittore. E ci son di quelli clic gli par esser il seicento fra gli spirili famosi, che non ac izzerebbono in mille anni l’ordine del trionfo cesareo,