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LXXV

A L

’ARCIVESCOVO SIPON TINO Gli raccomanda Giovanni scultore, pregandolo di confermargli la provvisione. Se l’animo mio fusse stato assente da Vostra Signoria reverendissima, a la bontá de la quale tanti e tanti anni fa che io mi diedi in preda, si come c stato lontano da Quella il mio scrivere, non averei minor vergogna ne l’indrizzarvi questa lettera, che io mi abbia avuto infin a qui del non ve ne aver mai indrizzate. Ma, perché egli è stato sempre e sempre sará presente ai meriti vostri, ardisce, mosso da una propria sua naturale afiezzione, di salutarvi, e, dopo i saluti, pregar la singular vostra benignitá che mi restituisca il luogo che l’antica servitú mia soleva avere ne la memoria vostra; e i segni veri, che ella rientri ne la possessione di prima, sieno il degnarsi di comandarmi. E, perché gli uffici che si fanno per i vertuosi son quasi conformi ai servigi che si fanno a Dio, supplico quella magnanima cortesia (che Roma, a onta de l’abito, sotto i cui lembi si strangola e la cortesia e la pietá, ognora conobbe in voi) che abbia compassione a la povertá, che aduggia i fiori de la vertú di Giovanni scultore, per Dio, giovane costumato e buono; la pura mente del quale ha tanta fede e tanto spera ne la gentilezza che racconta di voi, che, s’egli una parte di cotal fede e speranza avesse in Cristo, saria a quest’ora sopra le stelle. E perciò la provisione assegnatagli giá da la vostra pietosa mercede, pur per il mezzo suo, si gli confermi; e cosi sarete cagione che il bello ingegno, datogli da la natura e da lo studio, adornará Italia dei suoi parti. E io, ottenendo egli quel che per lui vi chieggio, entrarò in sicurtá de l’eterno obligo che ara con voi. E piaccia a Dio che egli non gitti le speranze e io i prieghi. Di Veneria, il 8 d’ottobre 1536.