Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. I, 1916 – BEIC 1734070.djvu/102

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per cui son tale, si lascia movere de la fizzione di chi mi odia, si dee credere che la mova ancora la veritá. Per giudizio mio, il mondo ha tre beni soli: la clemenza, l’amicizia e la liberalitá; doni c’ne pareggiano con le maggiori grazie del cielo, percioché la misericordia è guardia de la vita, la conversazione compagna dei viventi e la cortesia aiuto del vivere. Son pur santi i diletti del perdonare, son pur giocondi i conforti del conversare, son pur soavi i piaceri del donare. A me pareva d’avanzarmi sopra le stelle, quando il gran Giovanni dei Medici, idolo nostro, udiva da la voce Cesana: — Se Cristo risguarda l’atto che perdona le ingiurie, gli anni di Pietro non saranno meno felici che lunghi; — e mi convertiva in beatitudine ne l’udir voi da lui: — L’Aretino, per ricordarsi degli amici, si scorda di se stesso, talché egli è piú magnanimo che povero. — Qual dolcezza, qual letizia, qual nobiltá non prova l’umanitá de la carne, la benignitá de lo spirito e la magni licenzi a de l’animo, perdonando, conversando e donando? Insomma l’uomo, che non gusta la divinitá de le dette virtú, è una fèra a la imagine nostra. Benché il primo grado è de la clemenza, e coloro, che non sanno perdonare, non san vendicarsi. Percioché il perdono è vendetta, e solamente la fortuna è indegna de le sue generositá; onde, s’io la potessi offendere come la so sprezzare, la punirei dei torti che ella vi fa, con notabile ignominia de la corte, la quale, nel tener basse le virtú vostre, inalza le vergogne sue. Bella lode che ne acquista Roma, non sollevando una persona onestissima, di cor sincero, d’animo libero, di mente giusta, di prudenzia utile, di dottrina chiara, di fede stabile e d’ingegno facile! Ecco: l’essempio d’Ambrogio vitupera la sorte, la quale non doveva farlo né disfarlo, perché l’uno è suto di sua ignoranza e l’altro di sua viltá. Ma il servire e lo sperare dei buoni saria una festa, se le perminenzie, che si gettano, si dessero ai meriti d’altrui. Sarebbe anco onorata sodisfazione di chi noi fa, non avendo a pentirsi d’averle date loro né ad arossarsi per avergnele lor tolte. Or muoiansi i pontefici, poiché non sanno sempre vivere né vogliono, e il lor nome, privo del lume de la gloria, stiasi dove lo nota lo sdegno degli scrittori, con carico de Pistone; e Vostra