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CDXLII

A MESSER GIOVANNI AGOSTINO CAZZA

Ne loda i versi, ma gli ricorda che in poesia la qualitá è preferibile alla quantitá. Io son molto tenuto, amico carissimo, a la nobiltá de la cortesia, la quale ha mosso le vostre lettre a visitar me, che mai non vedeste, con la giunta de le rime, ne la cui piena do cezza mi son molto compiaciuto. E, in veritá, la sciolta semplicitá loro non è meti bella che soave; onde potete con certa speranza di lode seguitar lo studio de la poesia. E la vena coerente, da la quale esce il fiume dei versi, che vi partorisce la fantasia, è segno d’ingegno fertile. È ben vero che bisogna, ne l’abondanza de le canzoni e dei sonetti, che dite aver composti a centinaia, imitare quelle fanciulle che hanno vaghezza dei garofini. Esse, accioché tali fiori si dimostrino a le lor finestre piú belli e piu grandi, con la destrezza de la mano schiantano la superfluitá de l’altre bocce spuntate sopra i gambi migliori. A me pare che si debba con la falce del giudizio segare l’erbe desutili, percioché dal buono e non da lo assai nasce la gloria de le composizioni. Io non favello ciò per darvi consiglio, ma per mostrarvi in ciò quel che mi pare. Ora io vi di 00 in risposta del vostro scrivermi che spendete men tempo dietro a le muse che io non faccio a cumular danari per la compra d’un vescovado, che me ne vergognerei ad accettarlo in dono. Oltra ciò, se il gittar via si chiama avanzare, giurisi pure che sieno infinite le migliaia dei miei ducati. Fratello, se in me fosse mai suta mente di prete, ci saria anco stato grado pretesco, e non mi averieno impacciato le virtú ne lo acquistar le prelature, percioché io non avrei imparato se non quei vizi che sollevano in alto i ribaldi.

Di Vinezia, il 6 di giugno 1539.