Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. I, 1916 – BEIC 1734070.djvu/154

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rimirano il cupo di quelle acque, in cui la vaghezza de la gioventú e la temeritá de l’animo, sendo poco esperti nel nòto, gli fece arischiar la vita. Or io, che pur son fuora di angustie cosi fatte, ne rendo a Dio sommo le grazie che debbo. Intanto, con ogni spezie di zelo e con ogni sorte di fervore, mi ripongo dentro al petto il nome del nostro comun signore ; e, mentre gli restituisco lo impero ch’egli ebbe giá in me stesso, gli faccio riverenza con quella sincera umiltá, con cui, domenticata ogni offesa, confesso e contrito, torrò la carne e il sangue di Cristo.

Di Vinezia, l’ultimo di giugno 1539.

CDXLIX

AL SIGNORE ALBICANTE

Le dispute fra letterati sono come quelle tra due cani, i quali, dopo essersi conteso a morsi un osso, si leccano a vicenda. Metta dunque da banda il broncio, e lo raccomandi a Francesco Calvo. Il furor dei poeti è, fratello, un fernetico di stoltizia si eccellente nel ghiribizo, che altri il chiama «divino». Ma alora fornisce di canonizzare i suoi capricci, che la penna istessa pazzeggia contra il nome di lor medesimi, per la qual bestialitá son dileggiati da coloro che soglion riverirgli come il diavolo. A me par vedere, mentre scrivono in disonore l’un de l’altro, due cani da beccaio, i quali si spelliccino coi morsi per la invidia di roder quello osso, che, senza cavargli punto la fame del corpo, gli spunta tutti i denti. E, come egli, colcatisi poi lá a gambe alte, leccandosi insieme, abbaiono ad ogni forestiero; cosi i pazzaroni non pur si abbracciano e basciano sbudellatamente, ma arischian la vita propria nei comuni interessi. Si che, Albicante mio, per esser io vostro piú che mai, non vi incresca di raccomandarmi a messer Francesco Calvo, uomo di grave modestia e di nobile merito.

Di Vinezia, il 2 di luglio 1539.