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CDLXXVII

A DON LOPE DI SORIA

Chi ama è sempre giovane. Ringrazia dell’ottenuto pagamento della pensione cesarea. Manda il Genesi. Non solo io posso credere, signore, che i miei bisogni abbino avuto in ascendente la cortesia del buon don Lope, ma debbo giurarlo, nel modo che io confesso di essere ciò che non sarei, quando la umanitá vostra non mi desse tuttavia di mano: onde mi séte torchio ne le tenebre, consiglio nei dubbi e rifrigerio ne le necessitá. Benché prepongo ad ogni altro benefizio la compassione dimostratami alora che io, uscito di me stesso, non conosceva l’error proprio, né chi lo causava. Grande è la benignitá del Soria, da che egli vòlse quella sospiranda matina piú tosto lasciar le facende importanti che me afflitto. Atto degno di gratitudine e di memoria, e generositá conveniente al gentil costume di cavaleria, e cosa aparténente a la discrezione de la prudenzia di Vostra Signoria, il soprano core de la quale è lo studio dove Cupido si sta pensando a la grandezza de le sue istesse eccellenzie. Veramente egli mi pare che la vecchiezza inamorata sia piú felice che la gioventú senza amore. Percioché il vecchio si diletta nel sentirsi adulare da le persuasioni de la voluptá, la quale, se ben non esseguisce il fine del piacere desiderato, si sodisfa nel darsi ad intendere di potersene prevalere, e con si fatto trastullo rincora la senettú grave. Ma il giovane, privo di cotale affetto, insalvatichisce la nobiltá del pensiero, e, negando a se medesimo le delizie de la vaghezza naturale, sgomenta l’etá gioconda. Adunque amiamo pure, e, amando sempre, siamo garzoni del continuo. Io, per me, ogni volta che odo riprendere le pazzie che io ho fatto ne lo essercizio de lo amore, quasi che ispicco un salto, si mi pare essere infanciullito. Se mai lo imperadore fornisce di darmi il pane, non altrimenti voglio intertenermi le ninfe, che si faccia