Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. I, 1916 – BEIC 1734070.djvu/205

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certo, fratei mio, che lo indugio del rispondere a la vostra sincera lettra saria stato piú corto. Ma è suta si fatta l’allegrezza di cotanta mia ventura, che non posso anco carpire il sonno con gli occhi né gustare il cibo con la bocca. Sa bene il cavalier Cofienza le lagrime ch’io sparsi nel dirmi egli come la somma bontá del duca mi assolveva di quel peccato che l’altrui malizia fece commettere a la mia leggerezza. Ma, se io uscii di me ne lo udire la nuova del perdono ottenuto, che si crede ch’io diventassi nel sopragiugnere de la carta e del presente mandatomi dal singulare patrone nostro? Egli è chiaro che d’uomo divenni fera, ché in ciò mi trasformò il supplizio datomi da la clemenza del gran Federico. Onde potete rimettermi la scusa circa il tardare a ringraziarvi de lo utile, de l’onesto e de lo onorato uffizio, che in prò del mio pentimento, de la mia vecchiezza e de la mia condizione ha fatto la caritá del vostro cristiano volere. E ve son tenuto di maniera, che sempre farò dire al mio inchiostro che tali deverieno essere i favoriti dei principi. Voi piú che altro vi dilettate di veder la benignitá del signor vostro essercitare il magnanimo de la pietá sua sopra il capo degli erranti, e tanto godete quanto gli procacciate servitori e amici. E cotal nobiltá di animo conobbi ne la vostra mente quella sera infelice che il mio debito e il mio core mossono lo idolo, che noi adoriamo, non solo a credermi ciò che il mio pianto gli disse del signor Giovanni sempiterna memoria, ma al comparirgli al letto con quella tenerezza di compassione e di amore che si conviene al facile de la sua mansueta natura. E, se nulla mancava al mio avere intera conoscenza de le vostre somme intenzioni, fornii di comprenderlo, quando, doppo il fraterno abracciamento fattomi qui nel palazzo di Ferrara, confortaste la mia diffidanza a ricorrere ai piedi de la clemenza Gonzaga, parendovi che il chieder venia a l’umanitá di si buon duca fosse non meno gloria di lui che sodisfazione di me. E de lo essere intervenuto ciò che io dico in quanto a me, prego la misericordia di Dio che ve ne renda quel premio che merita chi si compiace ne lo aiutare il prossimo.

Di Vinezia, il io di genaio 1540.