Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. I, 1916 – BEIC 1734070.djvu/208

Da Wikisource.

favelliamo de le dèe, nei favori de le quali m’agiudicate perduto. Dico che esse danno tanto credito a la ferma constanzia de la mia fede inviolabile, che me ne invidia ogni forbita gioventú. Quando quella signora, questa madonna entra con questa madonna e con quella signora in ragionamento de la cura inaudita usata dal mio fervore isviscerato ne la orribile malattia di Perina, conchiudono io solo esser degno di godere eternamente ne le delizie de le lor dolcezze. La fama, che pertutto ha sparto P umiltá di si pietoso uffizio, mi essalta di sorte, che mi ritrovo a la condizion di un servitore per lealtá e per bontade singulare, che, avenga che la mano de la vilania gli abbia rubato i sudori degli anni migliori, è però si potente il pregio, nel quale il tiene il vanto dato a le sollecitudini, a le discrezioni e a le stabilitá di lui, che non solo è bramato da ciascun principe, ma, cambiato padrone, piú ottiene in un tratto che non ha ottenuto in assai tempo. Ma, se le incomprensibili fatiche da me durate in tórre di sotterra la pompa del sesso de le donne non mi avesser acquistato con loro il grado che voi dite, non saria ella una spezie di crudeltá nova? È certo che la tenerezza de le materne compassioni non poteva guardare nonché soffrire il disagio, che le mie vigilie, con istupore di chi le attendeva, sostennero i tredici mesi che ella fu preda del male. Quante volte mi conveniva coi prieghi e coi doni isforzare la miseria dei barcaruoli, i quali, impauriti da le furie del verno, non si arischiavano a traghettarmele a casa! e quante fiate, per non trovarne alcuno, mi trasferii a lei non men disperato che solo! Io, per benché il mondo mai non provasse il piú fiero decembre, il piú aspro genaio e il piú crudo febraio, non altrimenti sentiva molestarmi da le piogge che mi cadevano in capo, da le nevi che mi fiocavano adosso e dai venti che mi soffiavano intorno, che se le gocciole de le acque, le falde de le nevi e gli impeti dei venti fossero stille di rugiade, nembi di fiori e fiati di zefiri. Intanto io, malconcio da le perversitá de la stagione, comparitole al letto, non curando quel morbo, che tanto piú afflige le carni, quanto la persona, che egli attosca, è di piú etá, le basciava il monstruoso degli occhi, l’orrido de le guance e lo schifo de