Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. I, 1916 – BEIC 1734070.djvu/215

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e nel prender de l’altra. Peroché, col mandarmi questa e quella, avete fornito di rimproverare le sue villanie a la mia negligenzia, perché egli era di mio dovere lo scriver inanzi a voi che per voi si scrivesse a me. E, per giugnere errore a errore, a la carta scrittami non ho pur risposto. Per la qual cosa è forse venuta l’apportatrice de le ucce]le e de le lepri, il cui presento ha provocato la mia vergogna a non saper che farsi ; peroché la lettra, che ora vi mando, è piú tosto un rispettare il dono che un riguardare a la benivolenza. Benché son degno di perdono, da che non nego il fallo; e posso sperarlo, essendo voi dei piú generosi cavalieri che siano tra la gioventú italiana, e ciò afferma lo splendidissimo procedere dei vostri andari egregi. In piccola cosa sta lo indizio de l’altrui nobiltade; nel dispensare un grembo di fiori e nel porgere un canestro di pome si conosce la reai volontá del donatore. E perciò, se ben non séte quel duca e quel re, che meritate di essere e che vorreste diventare solamente per beneficarmi, come dite, si scorge quanto di gloria, oltre la profession de l’armi, promette al mondo il vostro tanto compiacervi nei detti de la liberalitá, senza la virtú de la quale la milizia illustre e la monarchia inclita non ponno, per onore de le degnitá loro, concedere il titolo di capitano né il grido di principe a niuna persona vile ; peroché, dove non è larghezza, non è virilitá, e dove non è viriltade, l’animo, che è obligato a sostenere le cure del principe e a reggere i carichi del capitano, si riman sepolto ne la fellonia de le istesse miserie. Si che rallegrativi del valore e de la cortesia, che il vivace de lo spirito e il generoso del core accresce di giorno in giorno ne le parole ^ nei fatti che escono di continuo dal volere e dal potere di voi.

Di Vinezia, il 7 di febraio 1540.