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COXCV1I
A MESSER FRANCESCO PRISCIANESE
Ha scorse le sue opere grammaticali, che loda.
L’amore, ch’io porto al magnifico Tomaso Giunta, si è
converso in obligo, da che la sua cortese modestia mi ha procacciato un cotanto amico. Benché reputo di mia vergogna
l’avere spettato che la vostra umanitá faccia l’uffizio apartenente
al mio debito. Ma il difetto di ciò è causato da la sorte, la cui
malizia si compiace nel vedermi occupato in quella ignoranzia,
di donde sarei fuora, se, nel modo che vi conoscerò ora, vi
avessi conosciuto giá. Pur io me ne rallegro, come si sia,
parendomi strano lo intervallo che si mette tra il desiderio del
conoscerci e lo affetto de lo abbracciarci. Circa le cose mandatemi, perché ogni grandezza di volume è da me scorsa in
un tratto, ho visto buona parte de le pazienti, de l’onorate e
de le utili fatiche vostre; gli ordini, le facilitá e le avertenze
de le quali sono in maniera tessute, che in un tempo istesso
insegnaranno la lingua dei latini ai volgari e quella dei volgari
ai latini. Ma, per esser l’opra uscitavi de lo intelletto scòla universale di tutto il mondo, lo stipendio, che d’anno in anno si
concede da le comunitá ai lettori publici, si debbe a voi; da
che, ponendo in luce le caritá de la propria dottrina, tenete i
buon maestri ne le case dei poveri, cacciando di quelle dei
ricchi la insolenzia dei pedagoghi. Essi, a mio giudizio, paiono
vasi strozzati nel collo, i quali, ne lo sforzarsi di volere empire
istrumenti simili di ciò che mandon fuora a gocciola a gocciola,
ne versano piú che non ce ne mescano. E perciò bisogna ai
maturi precettori, che vogliono infondere gli spiriti de la gramatica ne la mente degli accerbi discepoli, mostrare al procedere
di loro medesimi lo intelligibile andare dei vostri miracoli, la
cui providenzia è necessaria a lo studiar dei giovani come il
cultivar dei campi al viver degli uomini.
Di Vinezia, il 26 di febraio 1540.