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CDXCVIII

AL GUIDICCIONE

Nel rallegrarsi del conferimento al Guidiccione del presidentato di Romagna, gli raccomanda con molto calore di rendere giustizia a Francesco Lazioso, il cui solo delitto è l’aver troppo sentito l’affetto paterno. Se, tra la gran copia de le lettre che da ogni sorte di gente ho ricevuto ai miei di, ce ne fussero state almen due simili a quelle che 1 ’altrieri, signor caro, mi mandaste da Imola, oltre Tessermi compiaciuto nel dono di si fatte carte, avrei imparato a scriverle in modo che forse ora si vedrebbe qualche parola di spirito circa il volermi rallegrare del grado concessovi da Sua Santitá. La cui elezzione è degna de la prudenzia di Sua Beatitudine, peroché la bontá Guidicciona importa piú in Romagna che non fanno i suoi studi in Fossombrone. Altro è il giovare agli interessi degli uomini, e altro il transtullare i pensieri de lo ingegno. Debbe l’ozio, che giá vi consolava nel vescovado, cedere al negozio, che ora vi travaglia ne lo uffizio; da che le occupazioni di lui risultano in prò di quei miseri, che, alterati dal parziale de l’odio, non solo tengono in continuo rischio le carni, i sangui e le vite, ma dánno tuttavia gli animi ai rancori, le robbe ai sacchi, le case ai fuochi, le persone a le prigioni, le vecchiezze agli esili, le gole ai lacci e i colli a le mannaie. La insolenzia di coloro, che nel guastare gli ordini de le leggi incrudeliscono le dilezzioni de le sozietadi, aveva cosi bisogno del freno, il quale incominciate a metterle, come si abbia Francesco Lazioso de la ragione, che la sua innocenzia chiara dimanda a quel giusto sincero, che move in voi si grande splendor di virtú, che il grido de la fama publica vi dá il cognome di «buono». Il poverino, rassicurato da lo spavento in cui lo pose la rigidezza de l’altro presidente, viene a depositare e se stesso e il figliuol suo nel carcere, accioché la sentenza de la veritá, ne lo assolvergli de la imputazione che la calunnia ha saputo