Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. I, 1916 – BEIC 1734070.djvu/235

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rimarebbero in asso. — Quando tal cosa vi infregi, la ragione vi dá torto, perché, oltra ch’io non l’ho detto a malizia, di ciascun si giornea. Ecco: Aristotile è chiamato «seppia», Virgilio «compilatore de l’altrui vigilie», Omero un «dormiglione», Ovidio «superfluitá d’ingegno», Plinio «imaginatore di molte cose e digerito!’ di poche», Salustio «affettatore e pittore di parole antiche», Livio «inventore di concioni finte», Varone «porco di lettre», Tullio «ghiaccio de le facezie», Terenzio «istrione de le favole d’altri», Dante «ruggine de la lingua», Petrarca «erbetta da salsa», Boccaccio «lambicco dei verbi», e, per fornirla nei santi, Girolamo chiama Ambrogio ora «corbo» e or «cornacchia», Agostino è notato in alcuni luoghi d’eresia. Benché la invidia e non il difetto emenda i sopradetti ; e pure hanno pazienzia, ancora che siano di grido illustre e di fama chiara piú di voi. Ora, in quanto al mondo, in quanto a Dio, stimo di sorte la innocenzia de la semplicitá, che vi frega l’archeto de lo stile in su la ribeca de le muse, che, intitolandovi «buono», mi pare invistirvi del polo artico e de lo antartico, peroché dove è bontá è paradiso. Ditemi, sozio: in che còlerá vi recareste voi, se io spegnessi i vostri onori, imitando Platone e Xenofonte, i quali, se bene scrissero d’una istessa materia, solo una volta l’un de l’altro fa menzione? e io, in un capitolo piú lungo che le promesse dei principi, vi proclamo fino a le stelle. Forse attribuisco le maraviglie degli Annali piemonteschí al Porro, seguitando l’umor platonico, che attribuisce a Gritone le parole che Eschine disse a Socrate? Oltra di ciò, io cito il nome vostro nel modo che egli si scrive, per non esser de la malignitá di mastro Quintiliano, che passa con silenzio tutti gli eccellenti spiriti de la etá sua, e, sforzato di lodarne uno, che esornava la gloria di quel secolo, confessa il merito e tace il nome. Adunque, se io osservo in voi il decoro che mi si conviene, perché non mi cavate di dubbio con una pistoluccia, che mi chiarisca qualmente non séte adirato meco, per avere isguainato udendo la tremenda stanza del bestiai Trimarte? Se il demonio fusse poeta, non farebbe tre di quei versi foribondi, con cui lo biscantate