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DVIII

AL DUCA DI MANTOVA

Marchese di Monferato. Ringrazia del dono di calze e maniche dorate, narra le truffe perpetrate a suo danno in Francia da Gian Ambrogio degli Eusebi, magnifica la propria indole caritatevole, professa la sua devozione verso il Gonzaga e lo prega di interporre i suoi buoni uffici perché gli venga reso il danaro involatogli. Le vostre lettre, signore, mi sono state si care, che, nel riceverle, il mio animo, ranuvola’o da rumor d’un caso non meno strano che importante, non pur si rischiarò, ma raserenossi tutto. Benché non potrebbe fare altrimenti, ancora che i fastidi gli fussero piú oscuri che i pensier de la morte ; percioché egli è suto tante volte tranquillato da le cortesie di Vostra Eccellenza, che, in quel mentre che la memoria, infacendata dietro a l’altre cure, gli restituisce il nome di voi, la sua mente è obligata a sgombrar da sé ogni nebbia di occupazione, onde torna lucida come l’ariento e l’oro de le maniche e de le calze che mi avete mandato, dono conveniente a una reina nonché a una madonna. E cosi la sorte, che mi perseguita, si rimane con quella ansia con cui credettesi conturbar me, che, oltre a lo avere a ripararmi da la penuria di questo anno infelice, debbo anco comportare il danno dei molti scudi, che il re Francesco e il Cardinal Loreno diedero a un famigliar mio, accioché me gli portasse e non perché me gli giocasse. Gran cosa che non si trovi piú fede alcuna! Ecco: il mandato da me in Francia, non risguardando a la virtú che egli trae da la mia, né al grado in cui l’ho posto, né a lo essermi stato assai tempo in casa, né a lo amore de la figliuola, né a la tenerezza de la moglie, né a la caritá de la sorella, né a l’onor del fratello, né a l’onestá del padre, né a la vita di se proprio, ha voluto piú tosto far male con lo essempio de le altrui tristizie che altri