Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. I, 1916 – BEIC 1734070.djvu/252

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del Vasto, senza ricercarlo io, ha comissione di mandarmi subito ducento scudi, sopra a la pensione solita. Onde impari il re Francesco a non gittar via le cortesie che lo fan discortese, e dia quel che promette, o non prometta ciò che non dá, e, avenga che egli doni, non sopporti che si abbia a mandare per i presenti in Francia, istrascinandosi dietro la miseria di coloro che sperano le mercedi che gli disperano. Ma chi pensasse di regolare le azzioni dei galli, presumeria di mutar la fortuna del principe loro, gli andamenti de la quale servano il decoro de la propria sorte.

Di Vinezia, il io di aprile 1540.

DXIX

AL CAVALIER CICOGNA

Lo ringrazia di avergli fatta concedere da Carlo quinto la gratificazione di dugento scudi, e accenna alla truffa commessa a suo danno da Gian Ambrogio degli Eusebi. Il grandissimo Antonio da Leva, le cui armi glorificarono il nostro secolo, come anco la memoria del suo nome glorificará l’altrui, non operava niuna cosa indarno; peroché la prudenzia, che gli custodiva la mente, era eguale al valore, che gli aministrava l’animo: talché il merito, e non la sorte, causò in questa persona e in quella la grazia del favor di lui. Ma, fra tutte l’altre azzioni sue, gli uomini son tenuti a laudare la elezzione, che si alto, si illustre e si nobile capitano fece del mio signore e figliuolo Gian Pietro, unico paragone di diligenzia, di sollecitudine e di lealtade. Non poteva Sua Eccellenza trovar sugetto che piú attendesse a la cura de la preziosa vita di lei, né che piú fusse atto a giovare a le miserie dei virtuosi. E, perché molti hanno ricevuto da Vostra Signoria di quei beni che ho ricevuto io solo, assai gente è obligata a ringraziarvene insieme con meco. Ma, in quanto a me, dirò