Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. I, 1916 – BEIC 1734070.djvu/253

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sempre che il nuovo dono largitomi da Cesare mercé de la destra opera vostra mi sforza a dire che ve ne son tenuto non altrimenti che a la Maestade Sua. E tanto piú vi debbo io ciò, quanto il bisogno era maggiore, peroché, non bastando a la malignitá di questo anno il farmi pagare quattro scudi lo staio de la farina, si è compiaciuta ne la truffa fattami da un mio creato e vostro milanese, che ciò ha fatto per aver prima nome di assassino che di poeta. Ma, perché il piú infelice servo che abbia lo imperadore è il piú felice padron che viva, non mi è parso lecito il sospirarne nonché il disperarmene.

Di Vinezia, il io di aprile 1540.

DXX

AL SIGNOR DON LUIGI D’AVILA Quanto è diversa la ferma liberalitá spagnuola dall’ immobile prodigalitá francese ! E come egli è grato a don Lopez di Soria e a don Diego di Mendoza, che posero a sua disposizione la loro borsa, e ora al Davila, che tanto si è adoperato a fargli avere da Carlo quinto la gratificazione di dugento ducati! Se d’italiano, padron mio, si potesse diventare ispagnuolo, come di cristiano si può diventar prete, io avrei piú allegrezza di essere un famiglio di Spagna che non avrei dolore essendo, non vo’ dire, un monsignor di Francia, peroché la gentilezza del costume ispano consola gli uomini e la trascuratezza de la natura gallica dispera le genti. E, perché chi consola le persone è amato da Dio e chi dispera le brigate è odiato da Cristo, s’io diventassi, di un ser Pietro, verbigrazia un don Sancio, mi terrei piú felice che non si tien Castro trasformato da la sorte, di castel porcile, in cittá ducale. Ma, peroché l’una e l’altra nazione non mi chiami adulator né bugiardo, dico che mi movo a dire quel ch’io ho detto per la differenzia che si vede tra la ferma liberalitá spagnuola e la immobile prodigalitá francese. Lasciamo andare la pensione che