Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. I, 1916 – BEIC 1734070.djvu/270

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breve lo esser voi cagione che le sue menzogne dicano una volta il vero. Il gentiluomo, mercé degli onorati andari suoi, è degno da per sé di ricevere ogni sorte di grazia da ciascun gran personaggio, e panni offendergli il grado in supplicar per lui. Pure, acciò si vegga ch’io lo faccio di core, vi mando con questa lettra la mia effígie coniata in ariento, solo perché la quasi sua viva presenza, col farvi fede ch’io sono, vi mova a servirlo come so che veramente servirete. Intanto bascio la man dotta di Vostra reverendissima Signoria con quel zelo di fervore con cui mi raccomando al valoroso capitano Antonio.

Di Vinezia, il 17 d’agosto 1540.

DXXXIV

AL CONTE NICOLÒ DA TIENE Lo conforta della morte del fratello ventenne Silvio. Se, doppo il nascerci, quegli che ci vivono non sapessero, signore, che anco si mòre, sarebbe necessario ne la morte dei parenti di indolcirgli il dolore con le parole dei conforti ; avenga che i cordogli, che ci versano in su gli animi le perdite che non si aspettano, sono piú intolerabili che non vi pare il fine del fratello rubatovi da la súbita infermitá. Ma, poiché il morire comune e naturale, soprastando a tutti, a ognuno è noto, acquetatevene, peroché il conte Silvio, giá creatura eletta e ora anima santa, respira ne la memoria e appare ne la sembianza dei suoi, non altrimenti che se vivesse in se stesso, e la eccellente moralitá dei costumi, che gli ornavano l’amata grazia de la gioventú, è rimasta in voialtri. Talché dovete soffrire in pace la eterna assenza di lui, poiché egli ha fornito la somma d’ogni sua fatiga inanzi il tempo assegnatogli da la natura. Veramente, se noi vedessimo le cure, i fastidi, l’ansietá, gli affanni e le molestie, che il lungo andar del vivere riserba a chi piú ci vive, invidiaremmo coloro che si parton dal mondo, come