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DXLI

A MESSER FRANCESCO CAMAIANI

Piange la morte di un signor Nicolò, di un Vitello e di Federigo Gonzaga, e prega Dio che, prima di morire, gli faccia rivedere il Camaiani. Io non so, o fratello, in che modo rispondervi a la lettra vostra, non essendo mai stato possibile che le lagrime de l’affezzione mi abbin lasciato passar, con il leggerla, il nome di quel cortese e di quello amorevol signor Nicolò, che ci vedeva, che ci amava e che ci onorava, come si veggono, come si amano e come si onorano gli amici, i fratelli e i servitori; e tutto era mercé de la carnalitá tratta dal profondo de le sue generose viscere. Ma, quando io penso al piacere, al conforto e al riso, che si buono, si degno e si nobile giovane traeva da le burle del compare, mi dirompo in un di quei pianti cordiali che si versano dagli occhi alora che il pensiero ci rappresenta ne la memoria la viva imagine de lo amico estinto. E, mentre mi dura cotal ricordanza ne l’animo, ecco che ci appar dentro la presenza, la conversazione e la piacevolezza di Vitello, braccio del senno militare e termine del consiglio de la milizia; onde i sospiri, ch’io ne getto, mi asciugono Tacque versate dal viso per il sopradetto gentiluomo. Intanto volgo la mente ai furti che fa nel mondo la Morte, de le cui violenze sono bersaglio i corpi illustri degli uomini chiari. Testimoni i tanti capitani e i cotanti principi, che mancano de la vita da che non ci siam veduti. Ma, se a me nulla mancava per fornirmi di accorare, il fresco andar sotterra del magnanimo duca di Mantova ci ha supplito. Benché riferisco grazie a Dio d’ogni cosa e, riferendogliene, supplico le sue misericordie che mi concedano, prima che la natura risolva il mio fango in polvere, di revedervi almeno una volta, perché lo desidero con fraternissimo zelo. E ben debbo farlo, essendo voi grazioso