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CCCLV

AL SIGNOR GISMONDO HARUELO

Vorrebbe scrivere in lode di Enrico ottavo. Per non ci esser maggior testimonio de la bontá e del potere d’uno uomo grande che la speranza, che altri pone in lui, ecco ch’io vengo a far fede e del potere e de la bontá di voi, con il ricorrere a la cortesia e al favore de la vostra stabile degnitá e fortuna. Ma a chi debbo rivolgermi, se non mi rivolgo a voi, che avete talmente umiliato la sorte con la forza de la virtú, che ella vi è diventata propizia? E di qui viene che il gran re d’Inghilterra, del qual séte illustre imbasciadore, riguarda la eccellenza dei meriti vostri con l’occhio de la grazia sua, e, riguardandogli ne la maniera ch’io dico, non solo assicura la prestante vostra fedeltá e dottrina de le somme perminenze che se gli convengono, ma incita ancora quegli che vi conoscono a credere di farsegli grati per via del semplice mezzo vostro. E però io, che bramo di spendere l’avanzo del vivere concessomi da Dio in gloria di lui, vengo a supplicar quella benigna mansuetudine, che vi fa caro al mondo, che se degni prendere in protezzione il mio animo; avenga ch’egli, che se dedica con voto di perpetua divozione ai servigi degli onori di Sua Maestade, delibera che la sacra fama de le sante opere di lei voli per il cielo d’Italia, senza temere che l’altrui nequizia se gli attraversi intorno a le sue veritá con gli artigli de la nota menzogna.

Di Vinezia, il 12 di giugno 1538.