Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. I, 1916 – BEIC 1734070.djvu/51

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de lo sdegno ecclesiastico, riparate agli incendi futuri. La catena de la carne e de l’amore è indisolubile e fortissima, talché i parenti e gli amici dei giovani pentiti del fallo ci pensano, e, pensandoci, amaranno chi gli difende e odiaranno chi gli offende. Consentite che si spaventino, ma non che si disperino, perché lo spavento gli fará piú umili e la disperazione piú fieri. Basta loro l’essilio, bastagli la perdita de la robba, senza recarvi su le spalle de l’onore la taglia, che, secondo il parlare de la fama, paga cotesta comunitá perché si amazzino. Ma come è possibile che monsignor reverendissimo, legato vostro, non s’interponga in ciò col mezzo de la sua bontá innata e col favore de la sua prudenza lodata? Insomma io ho fatto l’ufficio che si conviene a l’amicizia: fate ora voi quel che si apartiene a la patria; perché sarebbe un levare l’umanitá da l’umanitá, se gli uomini non facessero si fatti debiti per gli uomini.

Di Venezia, il 20 di giugno 1538.

CCCLXVI

AL PRINCIPE DI SALERNO

Sollecita il pagamento d’una pensione di cento ducati. Il promettere, signor mio, è vanitá e il donare magnificenzia, e la pigrizia de l’uno e la solecitudine de l’altro si confanno come il falso e il vero; onde il vizio de le parole repugnante a la virtú degli effetti consuma la speranza di colui che, per non voler disperarsi ancora, crede a chi ha piú franca la voce che l’animo. Insomma la cortesia, che pur si ritrae de le promesse lunghe, è una liberalitá bastarda; e coloro, che la ricevono, odiano quel che alfin gli dá non altrimenti che se gli avesse tolto. Ma, se i detti di cotal filosofia sono audaci, Vostra Eccellenza faccia arrossarmi con la pensione dei cento ducati, che Quella si lasciò porre da la sua volontá.

Di Vinezia, il 20 di giugno 1538.