Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. I, 1916 – BEIC 1734070.djvu/73

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padrone. Onde sto per far voto a Cristo di non aprire piú bocca di pensione, e cosi fuggirò la indegnazione vostra e i morsi del Sauli, il quale dimanda in che cosa io serva lo imperadore, onde io abbia ad avere ciò che egli vòle ch’io abbia. Confesso il dono essere de la sua bontá e non de la mia virtú. Né mi maraviglio che la sentenza di lui giudichi sopra l’arbitrio de la Maestá di Cesare, percioché è difetto de la sorte che mi perseguita, e non colpa del gentiluomo, il quale dovria tacere il demerito mio inverso Sua Altezza, poiché non parlo del suo rubarlo né de la pena che lo minaccia. Ma, circa il dir voi che, perseverando in ciò, mutareste il desiderio di beneficarmi in tornii il beneficio, rispondo che avete due giuridizioni in me: una è di vostro istesso potere, l’altra di mio proprio volere. E, poiché pur vi piace, farò serva, con la legge che vi pare di darmi, la libertá che Dio mi ha dato, affermandovi che si fatta impresa sarebbe a ogni altro principe un contare i guai de la vita e le lagrime de la morte. Né si stia in dubbio che il silenzio, che mi imponete, non sia riverenza ch’io vi debbo, e non timore ch’io abbia.

Di Vinezia, il 7 di luglio 1538.

CCCLXXXIV

AL SIGNOR PAOLO ORSINO

Troppo onore per lui una visita dell’Orsini. E1 desiderio, signore, che mostrate nel fatto del conoscermi in presenza, qual mi conoscete in assenzia, è degno de la nobiltá vostra e indegno de la qualitá mia; percioché un grande, in far ciò, s’inalza e un piccolo, ciò consentendo, s’abassa, nel modo che mi abassarò io ne la villania del lasciarmi visitare, e come vi inalzarete voi ne la gentilezza del voler pur visitarmi. Non è lecito che Vostra Signoria venga dove io sono: è ben dovere ch’io faccia memoria de l’atto, il quale, con tanta cortesia