Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. I, 1916 – BEIC 1734070.djvu/95

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saputo, tosto che la voce universale falsamente ha creduta e publicata la morte d’uno uomo di tanta autoritá, d’un compagno di tanta piacevolezza e d’un amico di tanta boutade. Io, ne lo udire ciò, venni nel dirotto de le lacrime, che escono fino da le viscere di chi ama persone amate e onorate, e, tornandomi ne la memoria la fraterna conversazione e l’antica benivolenza, ho pianto voi stesso in me medesimo. Ed, essendomi rimproverata da la propria affezzione la ingratitudine, che ha usata il prodigo de la mia penna inverso i vostri lucidi meriti, mi vergognava di sapere scrivere, non avendo scritto di quegli. E sopra tutto mi doleva il non avere voi ricevute le mie lettre, onde, inanzi al fine che tutti pur faremo, poteste conoscere in parte la volontá che io vi tengo. Ora, da che non è morto Paolo lovio, vita dei nomi e spirito de le memorie, me ne congratulo con il mio amorevole, dolce e ottimo vescovo di Nocera, non ispargendo meno acque per l’allegrezza del non essere, ch’io mi abbia sparto credendo che fosse. Per la qual cosa gridai quasi persona assalita da improviso stupore, aprendo la carta de la Signoria Vostra; e a ciò era presente la discrezione e la modestia di messer Alfonso Montesdocca, che vi spetta a Roma. Insomma io sono per tenere piú cura di cotale padrone e fratello nel tempo che verrá, che non ho fatto in quello che è stato. E, perché vi vediate ne la giunta di alcune Pistole , vi mando il libro in cui sono stampate. E, nel cingervi il collo con le braccia de l’animo, prego la reverenda vostra umanitá che mi faccia riverenza a lo splendido marchese del Vasto, signor mio.

Di Vinezia, il 11 di agosto 1538. Postscritta. Io mi godo, essendo la Istoria vostra patria de la fama, de l’avere a essere suo cittadino.