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CDIII

AL TESAURIERO DI LORENO

Gli dice villania, per essere stato da lui ingarbugliato circa cento scudi inviatigli in dono dal Cardinal di Lorena e circa il danaro assegnato dal medesimo cardinale a Gian Ambrogio degli Eusebi pel viaggio di ritorno. Se io, signor Meliino, vi avesse mai offeso in parole o in effetti, overo se non fusse sufficiente a vendicarmi fin del torto che altri s’imaginasse di usarmi, lodarei il vostro avermi uccellato, né biasimarci la poca cura che doveste dare per aver ciò fatto. Ma, non vi avendo io dispiaciuto in cosa che sia ed essendo atto a rendere ingiuria per ingiuria, posso ben chiamare insolente il termine dei cento scudi, che, secondo le lettre che me scrivete da Marsiglia, vi diede, a ciò me gli mandaste, il cardinale illustrissimo. Veramente, io non sapeva che foste quel uomo che voi séte: perciò mandai al Dini la carta, perché egli mi assicurasse che ella era di man vostra. Che se l’avessi saputo, come so ora, la berta vi tornava sopra il capo de l’onore. A un gentiluomo è vituperio l’essere discortese del suo proprio : ora pensisi che infamia gli è il mostrarsi villano de la robba altrui. Ma, o che Sua Signoria magnanima ve gli ha dati o no : se ve gli ha dati, è truffa il non me gli aver rimessi; e se non ve gli ha dati, è manigolderia l’avermelo acertato, perché il dir de le bugie è uffizio di persone vili. Vi dovea bastare avervi tolto i denari, che Loreno vi comandò che deste al mio giovane per ritornarsi donde si parti, senza cotal giunta. Certo i principi hanno fama d’avanzo: perciò tengono nei loro maneggi gente simile a voi. Ma state sicuro; ché tosto in Lione publicarò altro processo che quello che vi formò contra il fuoco.

Di Vinezia, il 12 d’agosto 1538.