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somma bontá del quale, con il tener caro voi, essalta me, non volendo. Né son per credere altrimenti, se la sua generositade non accetta la riverenzia che per mezzo vostro le faccio.

Di Vinezia, il io di ottobre 1541.

DCXXXI

A M ESSER GIAN FRANCESCO CAMAIANI

Troppo severo si mostra il Camaiani verso il figliuolo Onofrio, a causa del fallo di cui nella lettera DCXX. Lo esorta a perdonare, e soprattutto a inviare trenta scudi occorrenti per ispese di giustizia, e il solito assegno mensile al figlio. Nel vedere io con quanto ismarimento d’animo giá mi scriveste nei frangenti di messer Nofri, non solo me ne commossi, ma ne piansi ancora, e, commendando la grandezza di quella pietade che vi faceva esclamare: — Spendasi ciò che c’è, e salvisi! — mi parse fornir di conoscere la magnanimitade vostra, peroché i veri tesori dei padri sono l’essenze dei propri figliuoli. Ma, procedendo voi, ora che egli è sicuro, con la severitá che si vede, sto quasi per credere che la compassione, che dimostraste nel suo pericolo, fusse piú tosto ne l’apparenza che nel core. Io laudo la rigidezza de le ammonizioni, stimandole piú utili ai giovani che precipitano che i freni ai poledri che traboccano; come anco biasimo il vizio dei loro estremi, coneiosiaché esse, in cambio di giovare, disperano. E ciò testimonia la fede prestata dal vostro primogenito ai miei ricordi; per la qual cosa è qui e non in Algieri. Certo ch’io parlo di lui qual di persona per essercizio micidiale e non come uomo spinto a l’omicidio; e ciò faccio per iscemare il rossore al viso de la inonesta indegnazione vostra, le cui terribilitá sono molto piú strane che dovute. Adunque vòle il padre che non sia lecito al figliuolo di rivoltarsi a chi lo assale e d’uccidere chi vien per ammazzarlo? Lamentativi de la sorte,