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DXLIX

A MESSER FRANCESCO MARCOLINI

Nonché esser invidioso di Francesco Alunno, è grande ammiratore delle sue opere, ed esorta il Marcolini a pubblicarle. È possibile, compare, che io, naturale aversario degli invidi, cominci a diventare invidioso ne la etade, che sopra ogni altro vizio dee abborrir la invidia? Adunque, io, che non gusto maggior piacere che quello che io premio ne lo esser invidiato, debbo affligermi ne lo invidiare gli onori, che il grido de la fama non men publica che perpetua apparecchia al nome de lo egregio Alunno? Ma chi non lo invidiaria, avendo egli trovato la virtú d’una nuova pazienza e la maniera d’una strana facilitá? per il che gli intelletti, vaghi di peregrinar dietro a Torme del gran Petrarca, prenderanno ne la commoditá de le sue vigilie il medesimo refrigerio che prova l’uomo errante, quando, gittato dal soverchio de la stanchezza a piò di quel monte che vorrebbe salire, non pur si sente porre da la compassione del pastore sopra una de le giumente da lui guardate, ma vede ancora portarsi dove si credeva che lo conducesse la lena de le gambe proprie. E, perché il sudore, che versa lo ingegno ne lo essercitare le accutezze dei suoi spiriti, è noia de la mente e non affanno de le membra, la pietade mostrata dal ferrarese messer Francesco inverso di coloro che s’intricano nei modi usati dal toscano poeta, avanza tanto la detta caritá pastorale, quanto Teccellenze de l’animo superano le qualitá del corpo. Ma egli è stupendo a dire e impossibile a credere come nel pelago, nel quale hanno pescato tutti gli ami de l’altrui avertenze è tutte le rete de l’altrui fantasie, non lasciando luogo intentato, né senza l’ésca de la diligenzia, il prefato uomo abbia saputo ritrarne si bella, si buona e si lodata preda. Veruna industria, niuna sollecitudine, né alcuna avarizia scelse giamai nei fondi de l’Ermo, nei liti di Pattolo e ne le rive del Gange