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AL SIGNOR GALEAZZO GONZAGA

Manda il vero testo di una sua commedia (la Ta/anta o l'Jpocrito), ché quello recitato con si cattivo successo non gli appartiene. Io ho inteso, antichissimo amico e padron mio, il gran male clic vi è suto scritto de la comedia che in questa terra si è recitata per mia. La qual cosa vi séte creduto, non altrimenti che non si sapesse che non sono però tanto inetto, che io debba far composizioni si ladre, che il popolo gli abbai dietro. D’il che mi maraviglio: avenga che, quando si ode vituperare qualunche opra si dica che abbia fatta un gran maestro, l’uomo è ben tenuto a crederlo di subito; ma, tuttavia che si sente in cotal modo biasimare quelle che escono da un par mio, non è da prestargli fede: peroché, si come essi non le potrebon mai far buone, cosi io non le saprei mai far triste. E certo che non metto in carte il parlar da Bergamo né da Padova né da Vinezia, ma quello che mi insegnò mia madre in Arezzo, dove nacqui e crebbi. E, se volete veder ciò che di me si doveva recitare, e non ciò che di mio non si recitò, ecco che ve lo mando. Intanto bascio la mano di Vostra Signoria, la quale so che mi soleva pur giá amare.

Di Vinezia, il 22 di febraio 1542.

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A MADONNA PEREGRINA CAULA

Il capitano Camillo, marito di lei, è tanto buono quanto valoroso. Ringrazia dei doni inviatigli. Egli è da stimare, onoranda sorel’a, che, scorgendo io nel capitan Camillo, olirá il valore e la bontá, la somma di tt tte quelle virtú che illustrano un nobil soldato, sapesse che anco