Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. II, 1916 – BEIC 1734657.djvu/14

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impressione che non è lodato il libro di voi dal giudizio dei buoni; onde, col fornir di immetriare i pedanti, si è cominciato a leggere ne l’academia di Spilimbergo e qui in due o tre scòle. La qual cosa mi piace, come son certo che piacerá a voi nel vedere in che modo, con che affetto e con qual voce onoro gli amici vostri e i padroni miei. Ma, perché il Priscianese è lo spirito de la fama, che trombc-ggia il inerito del quadrante, voglio che esso favorisca, in premio de la memoria che io ne ho, lo apportatore di questa ne la maniera ch’io favorirei qualunche mi portasse una de le vostre. Egli, che non ha di frate se non la cappa, oltre lo esser nobile, è uomo di lettre buone, di natura modesta, di conversazion cara, di bontá cristiana e di religion somma. Si che abbracciate la Sua Riverenza, la cui sobrietá di vita e d’animo tiene nel cor mio poco inen del grado che ci teniate voi. Intanto io vi giuro, per la eternitá de l’amicizia nostra, che mai ricevei presente che mi rallegrasse qual mi rallegrò lo udir per la lingua del vostro aviso il non esser io uscito di fantasia al veramente ottimo Cardinal Ridolfi, i sacri piè del quale spero anco basciare, perché ben posson creder gli uomini quel che gli giurano i cieli. Certo la gentil condizion di si magnanimo signore, con il ramentarsi di me, pur troppo ingrato agli oblighi ch’io tengo seco, dimostra che i benefattori amino piú quegli che essi beneficano che i beneficati coloro da cui riceveno i benefizi. Peroché l’amore dei suoi pari nasce da la virtú e la benevolenzia dei miei simili dal guadagno; onde è forza che l’affezzion di lui s’avanzi tanto sopra la dilezzion di me, quanto l’onesto s’avanza sopra l’utile. Come si sia, la riverenzia, che sempre ebbi non solo a le degnitá grandi e a le qualitá gravi di monsignor reverendissimo, ma a l’azzioni splendide e ai costumi egregi di Luigi e di Lorenzo, suoi generosi fratelli, è stata sempre nel mio pensiero nel modo che voi l’avete udita da le mie parole. E, avenga che in me sia parte alcuna di nome, onde la casa loro non si vergogni de Tesser io creatura sua, me ne consolo, se non me ne attristo.

Di Vinezia, il 28 di novembre 1540.