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DCLXXIII

AL SIGNOR IGNIGO PERALTA

L’aver dato Francesco Doarte una sua figliuola in moglie al Peralta mostra quali gieno i meriti di questo. Ringraziamenti per la traduzione che il Peralta va facendo, in ispagnuolo, del primo libro delle Lettere, e saluti a don Luigi d’Avila e all’Idiagues. Se io credesse che voi credeste che io avesse creduto che, senza altrimenti ricevere carte vostre, mi pensassi di mai uscirvi di memoria, vi terrei per nimico di quella fede che sempre ebbi circa l’amar voi me con la carnalitá ch’io amo voi. Ben so io di che sorte fu la cagione che mi vi diede in preda, e ne chiamo in testimonio Iddio di ciò che in gloria de la modestia vostra sono andato dicendo da che vi partiste di qua. Sappia il buon Francesco Doarte che, olirá lo intender io di sua prudenzia e di suo giudizio per bocca propria de la fama pubblica, me ne son fornito di chiarire da lo avervi l’uomo chiaro e memorabile dato in isposa la valorosa e onesta figliuola di lui; avenga che sol voi eravate degno di si alto matrimonio, conciosiaché voi solo in questa etá maligna séte senza malignitá. E, perché niun costume e niuna virtú arriva al merito di chi non è tale, non dirò altro de le virtú e dei costumi vostri. Ecco: la bontá di voi, ne lo intendere le parole con che io, provocato e da l’ira e da la sicurtá e da la ragione, lacerava fieramente questo e quello, non pure faceste uffizio che mi venisse in danno, ma, conoscendo l’error mio procedere da la lingua e non da l’animo, pigliando il furore di simili detti per afTezzione di core, ne scrivavate di modo a quello e a questo, che la mia còlerá ne diveniva premiata. Onde l’obligo, che sempre dirò d’avervene, voglio che sia continuo premio de la bontade che appresso agli altri servigi mi fa debitore de la fatica che Ella piglia in ridurre nel suo idioma il primo libro de le mie Lettre. Ora io vi supplico a non vi esser noia il ramentarmi