Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. II, 1916 – BEIC 1734657.djvu/156

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me, chiamo Bartolo e Baldo grimalclegli d’aprir borse e tanaglie da schiodare iscrigni. E, per tornare al capretto uscito tra l’unghie de la vostra strana liberalitá, dico che piú penso al vostro avermelo pur mandato, piú tengo la sua veritá bugia. A la fine mi par maggior cosa che se un lupo mi fusse stato largo d’una mandra di quelle ch’essi sanno arancare quando gli importuna la fame. Ed è chiaro che la Fortuna ha voluto che io fornisca di glorificarmi per via di cotal tributo: onde posso vantarmi che non solo mi abbin dato ciascuna sorte di brigate, non ne cavando turchi, giudei e mori, ma coloro che l’acoccano agli amici, ai parenti, ai padri, al prossimo, al diavolo e a loro stessi, compartendo poi ogni sustanzia in ninfe, in ganimedi, in cene e in primiere; onde chi dee aver può gracchiare. E, quel che è meglio, la ragione ne spirita con altra paura che ella non fa del torto. Insomma di razza cosi licenziosa riescono al suo tempo quei togati dottori, che fan risplendere il mondo coi raggi de le umane e de le celesti cognizioni.

Di Vinezia, il 29 di marzo 1542.

DCLXXV

A PASQUINO

Proclama solenni bugie le lodi giá compartite a Cesare de Gennaro (lett. dxi.iv). O maestro d’una chiara e libera veritade. salviti Roma in eterno. Intanto non riprendere il mio uscire dei tuoi termini con l’abondanza de le qualitá attribuite da me, tuo discepolo, verbigrazia a un signor Cesare de Genaro, conciosiachc lo essaltar altri con le bugie è un vituperarlo col vero. Si che sta’ sano e amami. Di Vinezia, il 2 d’aprile 1542.