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DCLXXXIV

A MESSER NOFRI CAMAIANI

Lasci pur gracchiare i critici, e non si assuma il carico di avvocato delle opere di Pietro Aretino. Voi, figliuolo, nel pigliare la protezzion di me contra coloro che proverbiano il mio fare, credete difendermi, e mi ingiuriate; imperoché tutto l’odio, che mi portano cotali bestie, nasce da lo essere io quel che a loro onta sono. Onde il rivoltarsi a si fatti romori è un voler tórre ai cani l’uso de lo abbaiare. Si che per conto niuno non ci fate piú parola, avenga che, come ho detto, mi ingiuriate nel defetidermi. Conciosiaché la maggior gloria che sia è quella de la virtú invidiata. Di Vinezia, il 16 d’aprile 1542. DCI.XXXV AL MEDESIMO Gode che le commedie mandate a Padova (la Talanta e VIpocrilo) sieno piaciute agli studenti di quella cittá. Io, figliuol nobile, dotto e valoroso, feci nelle coperte de le comedie, ch’ vi mandai, soprascritto al signor Fabrizio Ragno, degno veramente del titolo di gentile e di magnifico, perché vi pervenissero in mano, come, secondo che mi ha referito il nostro dabene e cortese signor Piccolomo, son pervenute. Il clic mi piace, da che, oltre il lor buono ricapito, piacciono molto a cotesti scolari, l’ammirazione dei quali vorrei che nascesse nei giudizi, che essi tengono, per conto de la fortuna e non de la natura. Peroché, se io avesse tanto obligo con quella quanto io ho con questa, schernirei le composizioni piú che i principi non ischerniscono chi compone.

Di Vinezia, il 17 di aprile 1542.