Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. II, 1916 – BEIC 1734657.djvu/204

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posso voler ciò che mi basta; e, pensando come qualunche cosa avanza al nostro uso è superflua, non mi curo di accumulare se non fama di buone opere, dolendomi tuttavia circa il non si poter fare senza le sustanzic necessarie. Ma, perché il tolerare le colpe de l’amico ridonda in suo proprio vituperio, biasimate l’atto del prefato. Intanto non si manchi di essercitar la penna ne le carte, se bene il niectier vostro è di porre lo Scarpello nei marmi. E, in quanto al mio giudizio, mi risolvo a dire che, se voi intendeste lo intagliar de le figure come intendete il compor dei versi, vi avicinarcste a Michelagnolo piú che non se gli discostano i piú dotti in cotale arte Si che ubbidite a lo influsso, ancorché il pane non lo consenta.

Di Vinezia, il 3 di luglio 1542.

DCCXXX

A MESSER ANTONIO GALLO

Non mette conto scusarsi di non avere scritto. Anche senza ricever lettere dal Gallo, l’Aretino ha sempre pensato a lui come a un buon amico. Egli è si potente il conio di quella affezione, che mi stampa nel core il nome saldo degli amici cari, che a pena la morte, nonché il lor tardo ramentarmigli, è atta a fare ch’io non gli abbi di continuo a la memoria. Si che, circa il non mi esser caduto de la mente la impronta del vostro, potete rimanerne tanto sicuro quanto io son certo de la benivolenzia che sempre mi portarete. Onde il perdono, che cercate per mezzo de la vergogna da voi presa ne la cagione del non mi scrivere, è cosa superflua, imperoché la indulgenzia accade dove appare la colpa. E Dio volesse che lusserò di cosi leggier peso i fastidi che vi travagliano! Del che mi incresce, e piú mi increscerebbe, se io non vi conoscesse savio schernitore de la instabilitá de la sorte, le cui niquizie non lecer mai che la veritá non fusse ciò che ella dee essere. I velami, che si impongono intorno