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DCCLXII

A DON DIEGO DI MENDOZZA

Lodi. Or che la egregia bontá di voi, giovane negli anni e ne le fatiche e vecchio nel consiglio e ne la discrezione, ha in nie pacificati quei pensieri estrani che mi persuadevano a la risoluzione che pareva loro, bisogna ch’io mi rivolga a credere che egli è pur vero che séte mosso da certe cose, le quali, per non si poter dar né tórre, debbono essere ammirate nel modo che si ammirano le vostre, dirò, doti celesti, da che le loro eccellenzie vi mostron grande senza superbia e glorioso senza invidia. E ciò conferma la modestia che usate nel favor che vi fa Cesare e la umiltá con cui accettate l’onore che vi largisce il mondo; onde il vostro nome, bello perché egli è lodato, e bellissimo per esser degno di laude, è ricevuto da tutti gli uomini, che sanno che sol colui è veramente famoso che desidera la buona fama per la via che la desiderate voi. In cotal mezzo vo’ considerando che non è dubbio che illustrate, essendo voi giusto, le tenebre di questa etade pessima. Certo che il zelo de l’amore, che vi porta la mia anima, non cape in se stesso, mentre scorgo in qual guisa le azzioni magnanime son delizie de la vostra generositá. Non è suggetto d’ambizione la mente che vi regge. Lo stuolo dei meriti propri non si pascono di iattanzia vana. Niuna inlecita cosa non saria bastante a disonestarvi punto del reale animo, imperoché le vaghe nobiltá de le sue splendidezze non guardano le brutte colpe del particular profitto. Insomma chi vói comprendere la qualitá de la prudenzia, che rivolge il petto del felice imperadore, pongavi mente; avenga che la testimoniate col mostrarvi e occhio e orecchio e lingua di ciò che ne le faccende di Sua Maestá egli non vede, non ode e non parla. Benché tutto procede da le sole virtú che vi custodiscono con un si fatto ordine,