Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. II, 1916 – BEIC 1734657.djvu/28

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e ai distichi latini, nonché agli esametri e ai pentametri volgari. Mi par mille anni di esser dotto, solo per confabulare con il suo per tratto «huc et huc et usque et usque Titilans vasti pelagi tentiginem submersis digitisi, eoe. Peroché, standomi nei soliti panni, ho piú paura del «subdo subdo , reddo reddo», che Sua Signoria ha beccato suso in Catullo, che non hanno i contadini del «visibilium et invisibilium», il quale gli sciorina adosso il biscantare il Credo del prete. Or veniamo a lo io non so se me lo battezzi istrammotto o sonetto, peroché, nel pizzicare del sonetto e de lo strammotto, non lo chiamo «grottesca ermafrodita» per non far torcere il grifo ai pisciaquindi e ai cacaquinci, la cui buona memoria solleticano le muse con i ramuscelli d’alloro «{snellamente» e «inchinevolmente». Per sé il di parlò per non dormire; e mi, poetando, non vorria fallire, dice il sozio, e, nel dirlo, mi dá la vita, poiché in si fatto intingolo non ci è il pepe né di «sovente» né di «uopo», peroché «è meglio bere al suo nappo di legno che a l’altrui coppe d’oro», e «piu risplende il vestir dei cenci propri che il rilucere dei drappi che si rubano» N Che aviam noi a fare con quel che non è nostro? Chi afferma per agile caminatore colui che sempre andò a cavalcione su le spalle al compagno? e chi non sa che una contafavola impiastrata dal beletto d’altrui simiglia una toppaia adobbata de le tapezzarie dei vicini? onde, nel vedercisi l’arme di quello e di questo,da questo e da quello si publica la povertá di chi se n’è fatto bello. E perciò ciascuno, che pazzeggia col poetizare, devrebbe piantarsi in uno stile di suo patrimonio e con quello dar fuoco a le girandole degli stessi ghirribizzi, lasciando abbaiare le frenesie del prossimo nei figli loro. Ecco: il Burchiello, le cui fanfalughe si leggeranno sempre, da che sempre scuffiò il pane da la sua farina, fu ladro per arte e non per natura. E che sia il vero, egli rubbacchiò per mostrare ai ceretani esser non men male il furar le cappe ai vivi che le fatiche ai morti. Insomma, io voglio che pre’ Biagio Iuleo, capeliano d’Apollo, facci una scampanata in Parnaso, da che i di nostri hanno pur letto una