Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. II, 1916 – BEIC 1734657.djvu/31

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del giudizio che ve le ha fatte esprimere con lo stile de l’arte. La prima è lo stupore che apparisce nc lo allargar le mani e nc lo alzar le ciglia de le turbe, trasformate dal miracolo nei gesti de l’ammirazione. La seconda si dimostra ne le grazie che Moisé nc rende al cielo, onde ne lo stender de le braccia, nel congiugnere de le palme e ne lo affissar del viso se gli scorge nel fronte l’afTetto e de la mente e del core e de l’anima. E la terza è posta negli atti, con cui le turbe ricolgono, ripongono e portano la composizione de la sustanzia divina. De la bellezza dei vasi non parlo, avenga che non saperci dire in che modo i garbi, che gli danno forma, conrispondino a la proporzione che si richiede a l’antiquitá de la foggia, con che fate che varia l’un da l’altro e quel da quello. Io, per me, nel guardar le figurine, che egli portano in capo, veggo una schiera di vilanelle venirsene de la fonte con i lor orci pieni. Né vi crediate ch’io non abbi dato cura a l’aria de le giovani e a le cere dei vecchi che intervengono in si mirabile istoria. Né manco ho lasciato di mirare con quale e con quanta discrezione distinguete l’etade dei sessi differenti. Lo ignudo, che, chinato in terra, scopre il dinanzi e il di dietro, per esser, in virtú de la forza facile e con grazia de la sforzata facilitade, calamita degli occhi, nel rincontrarsi nei miei, gli ritenne a sé, finché lo abbagliarsi gli rivolse altrove. È di gentile andare la maniera dei panni di che velate e scoprite le membra, secondo che la intelligcnzia dei buoni usa di velarle e di scoprirle. Ipsomina voi vi séte portato di sorte nel foglio mandatomi, che quello, dove il veramente dolce e grazioso Rafaello disegnò simil cosa, non lo supera di tanto che ve ne aviate a dolere. Ma, perché tutto è dono di Cristo, riconoscetelo con l’umiltá che si debbe. Or, per rispondere a Sua Eccellenza, che si spesso vi rumenta il mio non iscrivere, dico che io manco di si debito uffízio in dispregio de la crudeltá di quella fortuna, che me le fa si poco acetto. Benché il biasimo, che egli acquista nel consentir la mia povertá, pareggia il disagio ch’io provo ne la miseria.

Di vinezia, il 15 di decetnbre 1540.