Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. II, 1916 – BEIC 1734657.djvu/53

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me ne diede il cavalier Cicogna e nel riceverne per simil conto una lettra di voi, che, se il dono veniva con la prestezza che ini si promesse, io non capiva nel mondo. Ma, da che la pazienza del cotanto aspettarlo mi ha ridotto ne la umiltá dovuta, acquetate la necessitá, che io patisco, con lo effetto di ciò. Intanto potete intendere dal secretano di quel don Diego di Mendozza, che sforza gli uomini a predicare e ad ammirare le eccellenze e le magnificenzie del suo animo e de le sue azzioni, quale e quanta sia la speranza che io tengo ne l’ombra del favor di Vostra illustrissima Signoria.

Di Vinezia, il 9 di marzo 1541. DI.XXXI AL DUCA DI FIORENZA Certo, ha detto male di lui col capitano Lucantonio Cuppano; ma ciò che

pronunziò la lingua in un momento di « rabbia, «• non era sentito dal cuore, che è sempre devoto al duca. La gelosia de l’onor di voi, che gli séte padrone, e la compassione del patir di me, che gli son padre, mosse il signor Lucantonio a farmi intendere ciò che mi sforzò a dirgli il fernetico di quella disperazione, in cui, oltra il disagio, mi tiene Tesservi senza proposito caduto di grazia, apunto nel tempo che la vostra pur troppo dolce complessione ha gastigato si gran brigata di tristi; onde pare ch’io sia piú tosto compagno de le loro sccleraggini che quel uomo, che, essendo oppresso da molta febbre, mi visitavate ogni giorno. Ma lasciamo andar questo. Se Giobbe, nel sentirsi violentar dai mali, non potè astenersi di non tnaladire il di che nacque; né Pietro, nel vedersi impaurir da le turbe, di non renegare Colui che ’1 fece nascere: che miracolo, se io, provocato da la rabbia de la necessitá, che a gran torto mi fate patire, vi ho dato due morsi pazzi in su lo inviolabi! del nome? Signore, il fallo merita perdono, da che fino