Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. II, 1916 – BEIC 1734657.djvu/74

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di esserle accetto, degnisi Vostra Signoria di cominciare a mettermele in qualche grazia; ché, per Dio, cotal progenie non debbe sprezzare quel che hanno caro fino agli imperadori. E che sia il vero, ecco che vi mando la copia di ciò che Sua Altezza scrive al marchese circa lo aiuto di costa. Ma, perché doppo l’aver tenuto il mio messo piú d’un mese e poi rimandatomelo senza i ducento scudi non è per esser tollerato da me, vi supplico, per quella ismisurata feda che io tengo ne la discreta bontade vostra, che, avenga che io vi mandi quel messer Gian Tomaso romano, che giá in Milano vi diede una mia, acciò si trasferisca a la corte, che gli faciate tutto quel favorevol bene, che farei io a un dei vostri, se la facultá del poterlo fare fusse eguale.

Di Vinezia, il 20 di maggio 1541.

DXCVII

A MESSER CLAUDIO TOLOMEI

Della seconda lettera del Tolomei è ancora piú lieto che della prima. Vorrebbe pure inviargli qualche scritto degno di tanto richiedente; ma aimè! la fantasia comincia a illanguidirsi e la penna non vuol troppo fare il suo uificio. Ecco, signor mio, che il ricevere de le vostre seconde lettre mi ha ripieno di si dolce e di si soave piacere, ch’io ho fornito di provare di che tempre sia la gioconditá, che si sparge nel cor de l’amico alora che l’altrui benivolenza conrisponde a l’aflezzione sua con pari volontade. Ma, se la lettizia, da me gustata ne l’abondanza de l’amore che mi porta la benignitá vostra, ha potuto tutto rintcnerirmi l’animo, come si crede che la consolazione, ch’io ho preso ne la grandezza de la lode datami da la mansuetudine di voi me l’abbi del tutto sodisfatto? Per Dio che la mia mente, nel pensarci, abandona i sensi e i moti che l’ubbidiscono, e, retiratasi con la maggior parie de le sue