Pagina:Arienti, Giovanni Sabadino degli – Le porretane, 1914 – BEIC 1736495.djvu/111

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Avendo giá prima lui cum gravissimo suo dolore l’infirmila grave della giovene persentita, né desiderando alcuna cosa tanto, quanto poterla visitare, intesa la voluntá di parenti, li cominciò a battere l’inamorato e afllicto core per superchia letizia in tal maniera, che una ora mille anni li pareva de poterse a la presenzia de la sua amata giovene trovare. Ma non sapeva che si fare, parendoli inconveniente (non essendo a lei de consanguinitá congiunto, né domestico della sua famiglia) andarli. Pur, strengendolo caritá e infinito amore, ne andò. E giunto, cum acto reverente e benigno saluto, in la camera, dal conte Anseimo acompagnato, se acostò a l’affannato ledo, intornialo da multi parenti, omini e donne; dove, per smisurata pietá ch’ebbe a la giovene, alla quale era stata la sua venuta nunziata, e per alegreza de vederla, a pena potè dire: — Panfilia mia, che te piace? Idio te conceda quel conforto e salute che tu voresti, ché al tuo volere tutto son disposto. — A queste parole, alciando la giovene li languidi occhi e drizzandoli nel pietoso viso de l’amante e porgendoli la dextra mano, doppo uno alto sospiro, es.sendo giovene docta piú che altra alora in la citade nostra se trovasse, per essere in li morali studi cum grandissima diligenzia alevata, in questo modo se sforzò respondere: — Pirreo, cavaliero illustre, ben credeva piú felice che ora retrovarmi cum l’amata tua presenzia, da mi per ultimo conforto disiata, ché tu e li mei parenti, che me hanno avanti la mia fine questa consolazione conceduta, infinitamente ringrazio. L’è molto tempo, quasi da li mei teneri anni se può dire, hai cum ogni ingegno, industria e opere excelse dimonstrato piú che te istesso amarme; e io te ho amato veramente: come Amore ad una etade, a fine de congiugnerne matrimonialmente, le nostre nature ad amarci ne dispone. E di ciò ne ho pregato assai el Donatore d’ogni grazia; al quale, non raovendose una minima foglia senza sua voluntá, non è piaciuto, quantunque sp>esso ne imputamo la fortuna, de l’altrui bene invidiosa. La casone del mio male è questa, quale, parendo a li mei parenti strana, li dolerá: che, a le mie orecchie pervenendo che il mio magnifico padre, come discreto, ad uno nobilissimo giovene nostro citadino maritare me