Pagina:Arienti, Giovanni Sabadino degli – Le porretane, 1914 – BEIC 1736495.djvu/113

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privo, e sperando al debito tempo cum matrimoniale nodo ne congiungessemo. Il quale tempo era questo, che, quando la corona delle lucubrazione de li mei studi avessi consequito, te averei per degna consorte e non per indegna al tuo padre rechesta, reputandomi de la tua compagnia singularmente onorato, per le egregie tue virtú, per la nobilita del tuo sangue e per Tantiqua excellenzia de questa inclita citade, de li studi vera matre, e per la gloria ultimamente de’ suoi citadini, da li quali ho recevuto e recevo tanto onore e benivolenzia, quanto me sarei difficile a satisfare giamai. Ben me dole aver inteso la casone de la tua infírmitá, de la quale certo non saresti oppressa, se la volontá del tuo padre avesse sentíto; il perché, sopra ogni altra cosa desiderandote, non averei indusiato al constituito tempo de adimandarte. Ma, di poi che cosí è, pregote caramente te conforti, sperando in Dio, il quale chi in lui se confida mai abandona, perché, essendo lui al nostro casto amore pietoso, per sua divina clemenzia gli nostri longhi disii averáno compimento. E, pur quando ad epso non piacesse, è opportuno cum Sua Deitá ce concordiamo, come cum quello a cui cosí le cose immortale e superne come le inferiore e caduche sono universalmente sottoposte e sugette, reputandoci fin ora copulati ; e ché, come una volta per morte, terminatrice d’ogni affanno, separare ce convenia, che per quella medesima al presente separati siamo, e che ogni cosa a bono fine sia sequita, essendo maxiraamente vari e infiniti li periculi del mondo, come tutto il giorno vedemo. E, quantunque la sensualitá, da’ suoi appetiti combattuta, spesso ne contradica (come io ora, stretto da nova doglia per la tua infermitá, son tutto da lei percosso), pur te priego che pazientemente porti, come fai, questa tua grave infirmitate e affanno, per amore de colui che, per nui salvare, morte sostenne, il quale non dubito che per tanto merito te donará felice luoco ne’ suoi eterni regni. — Poi, volendo piú oltra sequitare, le surgente lacrime per la infinita passione del core lo mutirono; onde la giovene, a poco a poco de vita mancando e alciando gli occhi al cielo, dixe: — Signore e Padre eterno, te recomando la mia peccatrice anima, la quale umilmente prego che ne le tue mani misericor-