Pagina:Arienti, Giovanni Sabadino degli – Le porretane, 1914 – BEIC 1736495.djvu/361

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non debbo né voglio, perché io stesso de la mia mina son stato casone; ma de Pompeio romano excelso acusar te voglio. — Io allora incontinente: — O Gabriele, ditime, per la fede vostra, che mina è stata la vostra? — Lui, facendo prima un fiume de pianto, interropto da molti singulti e suspiri, dixe: — Misser mio caro, io avea fermamente costituito e proposto in lo animo mio non aprire mai ad alcuno la mia calamitá; ma, poich’io cognosco l’amor me portate e la virtú del vostro ingegno, son contento, renovando el mio dolore, explicarve el stato de la mia misera vita, de la quale, cognoscendovi pietoso, son certo ne averete compassione. — E, cominciando da li primi anni de la sua gioventú insino a questa etá, ogni cosa intieramente narrò. Per il che, tenendome gran pezzo d’ora stupito e da pietá conflicto, fui streto a consolazione sua dirli le presente parole: — Gabriele, de due cose assai me doglio: Luna che, essendo stato voi gran tempo meco, non ve abia facto quello onore che merita la prestanzia del vostro sangue, el qual nobilissimo cognosco. Ma de questo me dovete avere ogni modo excusato, non avendo de la vostra condizione altra scienzia avuto, che voi stesso voluto avete. L’altra, che la forza de le stelle sia stata si impetuosa in voi, che ve abia trabucato in si basso luoco; ma io ve conforto ad avere pazienzia, ché forse le stelle ve hanno qualche clemente fortuna reservato al resto de la vita che ve avanza. Armate el core de fede e l’animo de speranza, ché certamente, avendo vixo da molti anni in qua virtuosamente, come avete, per quello che da vui intenda, conviene ch’i cieli ve aprano la strata a trovare qualche iocunda fortuna, cum la quale rcsarcirete tutti i passati damni. E de questo non dubitate niente. — E, cusi dectome, tacqui. Gabriele, stato alquanto cogitabondo e ora in questa parte ora in quell’altra menando el capo, irato quasi e cum fazza assai torbida, respose: — Misser mio, io non intendo questo vostro parlare de stelle, che voi me fate. Voi dunque concludete che le stelle siano state casone di mei crudeli affanni? Questa me sa per certo una nova cosa, né mai piú da me intesa; ché, quando questo fosse, io non so quello ch’io non me facesse per far le mie