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settimo 141


60
     Se non ti muovon le tue proprie laudi,
e l’opre escelse a chi t’ha il cielo eletto,
la tua succession perché defraudi
del ben che mille volte io t’ho predetto?
deh, perché il ventre eternamente claudi,
dove il ciel vuol che sia per te concetto
la glorïosa e soprumana prole
ch’esser de’ al mondo piú chiara che ’l sole?

61
     Deh non vietar che le piú nobil alme,
che sian formate ne l’eterne idee,
di tempo in tempo abbian corporee salme
dal ceppo che radice in te aver dee!
deh non vietar mille trionfi e palme,
con che, dopo aspri danni e piaghe ree,
tuoi figli, tuoi nipoti e successori
Italia torneran nei primi onori!

62
     Non ch’a piegarti a questo tante e tante
anime belle aver dovesson pondo,
che chiare, illustri, inclite, invitte e sante
son per fiorir da l’arbor tuo fecondo;
ma ti dovria una coppia esser bastante:
Ippolito e il fratel; che pochi il mondo
ha tali avuti ancor fin al dí d’oggi,
per tutti i gradi onde a virtú si poggi.

63
     Io solea piú di questi dui narrarti,
ch’io non facea di tutti gli altri insieme;
sí perché essi terran le maggior parti,
che gli altri tuoi, ne le virtú supreme;
sí perché al dir di lor mi vedea darti
piú attenzïon, che d’altri del tuo seme:
vedea goderti che sí chiari eroi
esser dovessen dei nipoti tuoi.