Pagina:Ariosto, Ludovico – Orlando furioso, Vol. I, 1928 – BEIC 1737380.djvu/281

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canto terzodecimo 275


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     Poi che gittar mi vidi i prieghi invano,
né mi sperare altronde altro soccorso,
e che piú sempre cupido e villano
a me venía, come famelico orso;
io mi difesi con piedi e con mano,
et adopra’vi sin a l’ugne e il morso:
pela’gli il mento, e gli graffiai la pelle,
con stridi che n’andavano alle stelle.

29
     Non so se fosse caso, o li miei gridi
che si doveano udir lungi una lega,
o pur ch’usati sian correre ai lidi
quando navilio alcun si rompe o anniega;
sopra il monte una turba apparir vidi,
e questa al mare e verso noi si piega.
Come la vede il Biscaglin venire,
lascia l’impresa, e voltasi a fuggire.

30
     Contra quel disleal mi fu adiutrice
questa turba, signor; ma a quella image
che sovente in proverbio il vulgo dice:
cader de la padella ne le brage.
Gli è ver ch’io non son stata sí infelice,
né le lor menti ancor tanto malvage,
ch’abbino vïolata mia persona:
non che sia in lor virtú, né cosa buona

31
     ma perché se mi serban, come io sono,
vergine, speran vendermi piú molto.
Finito è il mese ottavo e viene il nono,
che fu il mio vivo corpo qui sepolto.
Del mio Zerbino ogni speme abbandono;
che giá, per quanto ho da lor detti accolto,
m’han promessa e venduta a un merendante,
che portare al soldan mi de’ in Levante. —