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ventesimosesto 291


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     Decimo ha quel Leon scritto sul dosso,
ch’al brutto mostro i denti ha ne l’orecchi;
e tanto l’ha giá travagliato e scosso,
che vi sono arrivati altri parecchi.
Parea del mondo ogni timor rimosso;
et in emenda degli errori vecchi
nobil gente accorrea, non però molta,
onde alla belva era la vita tolta.

37
     I cavallieri stavano e Marfisa
con desiderio di conoscer questi,
per le cui mani era la bestia uccisa,
che fatti avea tanti luoghi atri e mesti.
Avenga che la pietra fosse incisa
dei nomi lor, non eran manifesti.
Si pregavan tra lor, che, se sapesse
l’istoria alcuno, agli altri la dicesse.

38
     Voltò Viviano a Malagigi gli occhi,
che stava a udire, e non facea lor motto:
— A te (disse) narrar l’istoria tocchi,
ch’esser ne déi, per quel ch’io vegga, dotto.
Chi son costor che con saette e stocchi
e lance a morte han l’animal condotto? —
Rispose Malagigi: — Non è istoria
di ch’abbia autor fin qui fatto memoria.

39
     Sappiate che costor che qui scritto hanno
nel marmo i nomi, al mondo mai non furo;
ma fra settecento anni vi saranno,
con grande onor del secolo futuro.
Merlino, il savio incantator britanno,
fe’ far la fonte al tempo del re Arturo;
e di cose ch’al mondo hanno a venire,
la fe’ da buoni artefici scolpire.