Pagina:Ariosto, Ludovico – Orlando furioso, Vol. II, 1928 – BEIC 1738143.djvu/362

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356 canto


12
     Fisse Iocondo alla partita il giorno:
trovò cavalli e servitori intanto;
vesti fe’ far per comparire adorno,
che talor cresce una beltá un bel manto.
La notte a lato, e ’l dí la moglie intorno,
con gli occhi ad or ad or pregni di pianto,
gli dice che non sa come patire
potrá tal lontananza e non morire;

13
     che pensandovi sol, da la radice
sveller si sente il cor nel lato manco.
— Deh, vita mia, non piagnere (le dice
Iocondo, e seco piagne egli non manco);
cosí mi sia questo camin felice,
come tornar vo’ fra duo mesi almanco:
né mi faria passar d’un giorno il segno,
se mi donasse il re mezzo il suo regno. —

14
     Né la donna perciò si riconforta:
dice che troppo termine si piglia;
e s’al ritorno non la trova morta,
esser non può se non gran maraviglia.
Non lascia il duol che giorni e notte porta,
che gustar cibo, e chiuder possa ciglia;
tal che per la pietá Iocondo spesso
si pente ch’al fratello abbia promesso.

15
     Dal collo un suo monile ella si sciolse,
ch’una crocetta avea ricca di gemme,
e di sante reliquie che raccolse
in molti luoghi un peregrin boemme;
et il padre di lei, ch’in casa il tolse
tornando infermo di Ierusalemme,
venendo a morte poi ne lasciò erede:
questa levossi et al marito diede.