Pagina:Ariosto, Ludovico – Orlando furioso, Vol. II, 1928 – BEIC 1738143.djvu/373

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ventesimottavo 367


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     Ne l’albergo un garzon stava per fante,
ch’in casa de la giovene giá stette
a’ servigi del padre, e d’essa amante
fu da’ primi anni, e del suo amor godette.
Ben s’adocchiâr, ma non ne fêr sembiante,
ch’esser notato ognun di lor temette:
ma tosto ch’i patroni e la famiglia
lor dieron luogo, alzâr tra lor le ciglia.

57
     Il fante domandò dove ella gisse,
e qual dei duo signor l’avesse seco.
A punto la Fiammetta il fatto disse
(cosí avea nome, e quel garzone il Greco).
— Quando sperai che ’l tempo, ohimè! venisse
(il Greco le dicea) di viver teco,
Fiammetta, anima mia, tu te ne vai,
e non so piú di rivederti mai.

58
     Fannosi i dolci miei disegni amari,
poi che sei d’altri, e tanto mi ti scosti.
Io disegnava, avendo alcun danari
con gran fatica e gran sudor riposti,
ch’avanzato m’avea de’ miei salari
e de le bene andate di molti osti,
di tornare a Valenza, e domandarti
al padre tuo per moglie, e di sposarti. —

59
     La fanciulla negli omeri si stringe,
e risponde che fu tardo a venire.
Piange il Greco e sospira, e parte finge:
— Vuommi (dice) lasciar cosí morire?
Con le tuo braccia i fianchi almen mi cinge,
lasciami disfogar tanto desire:
ch’inanzi che tu parta, ogni momento
che teco io stia mi fa morir contento. —