Pagina:Ariosto, Ludovico – Orlando furioso, Vol. III, 1928 – BEIC 1739118.djvu/406

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Sulle ragioni che indussero l’Ariosto a comporle si son dette cose abbastanza curiose: a me pare che il Poeta abbia trovato un bel modo per pagare il suo debito di riconoscenza verso l’illustre famiglia d’un privilegio che il doge Ottaviano gli aveva concesso1.

La lingua s’affina con un più delicato senso d’arte, liberandosi cosí da certi dialettalismi come da latinismi troppo audaci. Il Poeta rifá versi e intere stanze: e qui nota che nelle nuove stesure quasi sempre conserva le stesse parole rima, tanto quei suoni creati nell’abbandono del primo Furioso gli rimangono vivi e cari e presenti. E cosí fará ancora quando B sará sottoposto ad una nuova revisione per l’ultima e definitiva stampa.

Del problema della lingua egli ora s’interessa ben piú che non avesse fatto prima, e certo in questa seconda edizione le voci e i modi toscani sono assai piú numerosi che nell’altra: ma siamo ben lontani dalla severitá d'un Bembo e d’un Manzoni; sia perchè ormai (aveva passato i quarant’anni) gli riusciva difficile mutare fortemente le proprie abitudini idiomatiche2, sia perché i versi è piú facile rifarli che correggerli, sia infine, e soprattutto, perché coi loro suoni nativi eran piaciuti a lui ed a tutta Italia.

L’Errata di B, oltre a buon numero di versi migliorati, ci regala una raccoltina di parole da correggere; ma, senza piú indicare i luoghi (che sarebbero troppi), mette insieme cogli errori materiali, come presto per preso, varianti grammaticali. Cosí non manca di registrare tra gli errori «mano per mani», poiché, a dispetto della Errata di A, ricompariva nella seconda edizione (per es. XXXIX 186, 8). E poi (diamo solo un paio d’ess.) vorrebbe sostituire nimico a nemico, destino a distino, dovere a devere, ricorda a raccorda, ecc. E da ultimo, senza entrare in particolari, prega di correggere dove si trovi «una consonante per due, due per una». E cosí con bell’arte l’Ariosto si salva dalle punte dei

  1. La supplica ad Ottaviano è del 27 febbr. 1516 (A. Salza, Studi su Ludovico Ariosto, Cittá di Castello, 1914, p. 291). Del privilegio genovese, di cui ignoriamo la data, non si ha espressa menzione nell’ediz. del ’16, bensí in quella del ’21.
  2. S’osservi, importante per la data (1520), ciò che l’Ariosto nel Prologo del Negromante scrive della sua lingua. Fatto cenno delle parole bolognesi che ha accolto quando gli piacevano, soggiunge d’aver dato opera a tutto suo potere alle toscane eleganze; ma nel troppo breve soggiorno toscano

                        tanto appreso non ha, che la pronunzia
                        lombarda possa totalmente ascondere.

    (Commedie e satire, ed. Tortoli, Firenze, 1856, p. LXI).