Pagina:Ariosto-Op.minori.1-(1857).djvu/158

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frammento primo. 129


19 Questo che in esser suo primo rimase,
Forse il più bello, il crudel re de’ Goti
Mandò da Roma alle paterne case,
Ai liti del mar Battro sì remoti;
Col quale i gran successi persüase,
Che ancor per fama ben non eran noti,
Che la superba Italia aveva doma,
E presa ed arsa e saccheggiata Roma.

20 Galeotto lo Brun, ch’era a’ dì suoi
Il maggior cavalier che al mondo fusse;
Che l’isole lontane e gli Stenoi,1
Col nostro regno, al scettro suo ridusse;
Si fe signor di questo scudo, poi
Che un re de’ Goti di sua man percusse,
Percosse e mise a morte; indi portòllo
Seco in Islanda, ove al morir lasciòllo.

21 Nel scudo prima Radagasso ardito
Aver distrutta Italia si vedea;
Poi Stilicone incontra essergli uscito,
Che condotto a mal termine l’avea.
Venía di Gallia un altro che tradito
Dal capitan d’Onorio si dolea,
Che piglia e mette a sacco Italia e Roma;
E scritto v’è, che Alarico si noma.

22 Èvvi Ataulfo, che levar desia
Roma dal mondo e far nuova cittade,
Che nome dalli Goti abbia Gotia;
E che nè più cesarea maestade,
Nè nome imperïal nè Augusto sia,
Ma sia Ataulfo alla futura etade.
Ezio patrizio v’è, che par che chiami
Gli Unni, e l’Italia in preda lor dar brami.

23 Vengono gli Unni, e loro Attila è innante;
La gente afflitta alle paludi fugge:2
Esso Aquiléa, con l’altre terre, quante
Ne son fra l’Alpi e ’l Po, tutte distrugge:
Per arder Roma ancor môve le piante,


  1. Strana confusione come ognun vede, del romanzo coll’istoria: ond’è difficile indovinare di quali popoli abbia l’autore voluto intendere nominando gli Stenoi.
  2. Accenna la fondazione di Venezia. — (Molini.)