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satira settima. 203

Di Spagna gli dànno anco, che non creda
36In unità del Spirto, il Padre e ’l Figlio.
     Non che contempli come l’un proceda
Dall’altro, o nasca, e come il debol senso
39Ch’uno o tre possano essere, conceda;
     Ma gli par che, non dando il suo consenso
A quel che approvan gli altri, mostri ingegno
42Da penetrar più su che ’l cielo immenso.
     Se Nicoletto1 o fra Martin fan segno
D’infedele o d’eretico, ne accuso
45Il saper troppo,2 e men con lor mi sdegno;
     Perchè salendo lo intelletto in suso
Per veder Dio, non dê parerci strano
48Se talor cade giù cieco e confuso.
     Ma tu3 del qual lo studio è tutto umano,
E sono tuoi suggetti i boschi e i colli.
51Il mormorar d’un rio che righi il piano;
     Cantar antiqui gesti, e render molli
Con preghi animi duri, e far sovente
54Di false lode i principi satolli:
     Dimmi, che truovi tu che sì la mente
Ti debbia avviluppar, sì tôrre il senno.
57Che tu non creda come l’altra gente?
     Il nome che di apostolo ti denno,
O d’alcun minor santo i padri, quando
60Cristiano d’acqua, e non d’altro, ti fenno,
     In Cosmico, in Pomponio vai mutando;
Altri Pietro in Pïerio, altri Giovanni
63In Giano o in Giovïan va riconciando:4
     Quasi che ’l nome i buon giudici inganni,
E che quel meglio t’abbia a far poeta,


  1. Intese forse Niccolò Vernia, professore di Padova, il quale fu accusato di non retta credenza sopra alcuni dogmi della fede, per aver difeso l’opinione di Averroe dell’unico intelletto. Vedi Papadopoli, Hist. Gymnasii Patavini, vol. I, pag. 291,. Per Fra Martin intende forse Lutero. — (Molini.)
  2. Il poeta avea fatto prima: Il sottil studio; e così legge il Rolli, affidato alle prime edizioni. — (Molini.)
  3. Giova avvertire che qui il poeta non intende già di rivolgere il discorso al Bembo, ma bensì, nella persona di un solo, a quegli umanisti dei quali ha parlato nelle precedenti terzine. — (Molini.)
  4. Riprende l’uso e il gusto d’allora, che gli scrittori cioè si cambiassero i nomi cristiani del battesimo in nomi gentili; uso introdotto da Pomponio Leto sul fine del secolo XV. Pierio Valeriano, Gioviano Pontano sono noti. Il Cosmico (Niccolò Lelio da Padova) fu poeta del secolo XV. — (Molini.)