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246 elegia decimasettima.

     Ch’or giustamente da mostrar dolore
Abbiamo causa, ed è sì grave il danno,
6Che appena so s’esser potría maggiore.
     Vedo i miei versi che smarriti stanno
Udendo intorno il lamentar comune,
9Ch’ove lor debbian cominciar non sanno.
     Vedo l’insegne scolorite e brune,
Sospiri e pianti mescolati insieme,
12Da môver l’alme di pietà digiune.
     Vedo Ferrara che privata geme
Di sua adornezza; e per grand’ira intorno
15Il fiume Po che mormorando freme:
     Il qual, presago,1 il sventurato giorno
In cui la somma Volontà dispose
18Che un’alma santa fésse al ciel ritorno,
     Per non vedere, ogni suo studio pose
D’allontanarsi all’infelice terra;
21Sì che in più parte le sue sponde róse.
     Argini e ripe ed ogni opposto atterra:
Pur con ingegno dal fuggir si tenne
24Dall’alveo antico, dove ancor si serra.
     Che ricordar mi fa di quel che avvenne
Dopo la morte del famoso cive,2
27Che armato in Roma, ad occuparla venne.
     Allora il Tebro superò le rive,
Come ha quest’altro al tramontar di questa
30Stella, che in ciel santificata vive.
     Folgori e venti allor, pioggia e tempesta
Ondaro3 i campi; ed altri segni ancora
33Fecer la gente timorosa e mesta;4
     Com’ora è apparso a dimostrar quest’ora
Venuta a tramutar la città lieta,


  1. Per la migliore intelligenza dei seguenti terzetti, giova riferire quanto fu scritto dal Baruffaldi: «Di due straordinari avvenimenti in quell’anno accaduti... si valse ad ornare poeticamente il componimento. Uno fu l’eclisse del sole, e l’altro l’insolita escrescenza del Po, con rottura d’argini e disastrose inondazioni: i quali avvenimenti egli ingegnosamente accenna, o come presagi funesti che precedettero, o come sventura che accompagnarono la morte di Eleonora.» Vita ec., pag. 72.
  2. Cesare. Vedi l’ode seconda del libro primo di Orazio: Iam satis terris nivis ec.
  3. Singolarità di linguaggio poetico, già raccolta dal Brambilla.
  4. Questi segni che precedettero la morte di Leonora furono indicati dal Guarino nell’orazion funebre per la medesima, che trovasi stampata. — (Molini.)