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284 canzone prima.

Con queste reti insidïosi Amori
Preser quel giorno più di mille côri.
     100Non fu senza sue lodi il puro e schietto
Serico abito nero,
Che, come il sol luce minor confonde,1
Fece ivi ogn’altro rimaner negletto.
Deh! se lece il pensiero
105Vostro spiar, deli’implicate fronde
Delle due viti, d’onde
Il leggiadro vestir tutto era ombroso,
Ditemi il senso ascoso.
Sì ben con ago dotta man le finse,
110Che le porpore e l’oro il nero vinse.
     Senza misterio non fu già trapunto
Il drappo nero, come
Non senza ancor fu quel gemmato alloro
Tra la serena fronte e il calle assunto2
115Che delle ricche chiome
In parte ugual va dividendo l’oro.
Senza fine io lavoro,
Se quanto avrei da dir vô porre in carte;
E la centesma parte
120Mi par ch’io ne potrò dire a fatica,
Quando tutta mia età d’altro non dica.
     Tanto valor, tanta beltà non m’era
Peregrina nè nôva;
Sì che dal folgorar d’accesi rai,
125Che facean gli occhi e la virtude altera,
Già stato essendo in prova,
Ben mi credea d’esser sicuro omai.
Quando men mi guardai,
Quei pargoletti che nell’auree crespe
130Chiome attendean, qual vespe
A chi le attizza, al côr mi s’avventaro,
E nei capelli vostri lo legaro.
     Vel legaro in sì stretti e duri nodi,


  1. Questa voce, trasferita sì spesso dalle cose fisiche alle morali, venne anche talvolta ricondotta dalle morali alle fisiche; come in questo luogo, e nel Tes. Br., 2, 37: «Ella monta tanto in alto, che ’l calor del sole la confonde.»
  2. Locato in alto, cioè l’alloro, tra la fronte, e il calle cioè (poeticamente) la discriminatura o dirizzatura (oggi divisa) de’ capelli.